(TVT/Interscope, 1994)
Il secondo album della band è il suo indiscusso capolavoro. È un’odissea dell’Io che si spoglia di tutto, della religione (Heresy), delle inibizioni sessuali (Closer e il suo verso più famoso: “I want to fuck you like an animal”), di ogni ritegno e infine della vita stessa (The Downward Spiral), lungo il binario tossico che procede da Mr. Self Destruct. Trent “Mr Autodistruzione” Reznor ratifica i continui electro-shock tra lame postindustriali, virtù dell’hard disc recording e oppiacei intramuscolo di fetido punk, bruciore freddo art-progressive e pause analgesiche (A Warm Place), hard cazzuto (Big Man With A Gun) e i martelletti di un pianoforte dove meno li si aspetterebbe (in mezzo al mattatoio ritmico di March Of The Pigs, per esempio). Ma per focalizzare meglio il dolore sceglie Hurt, canzone che rivivrà una seconda vita come commiato del grande Johnny Cash. Se fosse un film, The Downward Spiral sarebbe Arancia Meccanica, Videodrome e Eraserhead in un unico montaggio; se fosse un libro, il suo cut up sonico non disterebbe granché da quello verbale di un Pasto Nudo.
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